L’età anagrafica di una persona non dà una giusta indicazione: lo stereotipo che identifica il 70enne come "vecchio" è sorpassato, non ha più ragione di esistere di fronte a "splendidi settantenni" pienamente attivi. Una persona sessantacinquenne in pensione è ancora perfettamente attiva, senza problemi fisici che ne limitano in modo sostanziale l’autonomia.
Negli ultimi 10 anni, il tasso di disabilità è diminuito di circa 2 punti percentuali (dal 6 al 4%) e i 65-enni di adesso hanno davanti a loro mediamente sei anni di vita in più rispetto ai loro coetanei del dopoguerra. Non solo: gli stessi sono in grado di vivere per più anni in maniera autonoma, toccando la soglia dei 77 anni, per l’uomo, e dei 79 anni per la donna.
Potrebbe dunque essere una "seconda età adulta": un’età intermedia, non anziana, in cui si è ancora forti ed in buona salute ed in cui domina la voglia di essere ancora attivi ed impegnati in compiti e ruoli adatti, che valorizzino l’esperienza e la saggezza accumulata negli anni.
L’Istat riassume, quindi, il dibattito attuale: è necessario rendere dinamico il concetto di anzianità. L’ipotesi più diffusa è quella in base alla quale occorre riferirsi ad un indicatore statistico più dinamico, più versatile, che consideri non più gli anni trascorsi dalla nascita, passati, ma il numero medio di anni che restano ancora da vivere, gli anni futuri. Cioè, se la speranza di vita della popolazione italiana è 77 anni, si entra nell’età anziana 10 anni prima, a 67 anni. Quando, tra qualche anno, la speranza di vita si innalzerà ancora, così come è successo per tutto il secolo scorso, si innalzerà automaticamente anche la soglia dell’età anziana.
Questo cambio di mentalità potrebbe rappresentare un grosso vantaggio per la società: sarebbe possibile programmare gli interventi sociali, assistenziali e previdenziali, secondo le reali esigenze delle persone. Infine occorre anche comprendere un punto focale: il nostro potenziale cliente non ha ancora avuto percezione dei vantaggi e pertanto sta considerando l'apparecchio acustico solo come “un problema in più”. Decisivo portare l'esempio di come la “sordità” sia molto più visibile e discriminante.
Negli ultimi 10 anni, il tasso di disabilità è diminuito di circa 2 punti percentuali (dal 6 al 4%) e i 65-enni di adesso hanno davanti a loro mediamente sei anni di vita in più rispetto ai loro coetanei del dopoguerra. Non solo: gli stessi sono in grado di vivere per più anni in maniera autonoma, toccando la soglia dei 77 anni, per l’uomo, e dei 79 anni per la donna.
Potrebbe dunque essere una "seconda età adulta": un’età intermedia, non anziana, in cui si è ancora forti ed in buona salute ed in cui domina la voglia di essere ancora attivi ed impegnati in compiti e ruoli adatti, che valorizzino l’esperienza e la saggezza accumulata negli anni.
L’Istat riassume, quindi, il dibattito attuale: è necessario rendere dinamico il concetto di anzianità. L’ipotesi più diffusa è quella in base alla quale occorre riferirsi ad un indicatore statistico più dinamico, più versatile, che consideri non più gli anni trascorsi dalla nascita, passati, ma il numero medio di anni che restano ancora da vivere, gli anni futuri. Cioè, se la speranza di vita della popolazione italiana è 77 anni, si entra nell’età anziana 10 anni prima, a 67 anni. Quando, tra qualche anno, la speranza di vita si innalzerà ancora, così come è successo per tutto il secolo scorso, si innalzerà automaticamente anche la soglia dell’età anziana.
Questo cambio di mentalità potrebbe rappresentare un grosso vantaggio per la società: sarebbe possibile programmare gli interventi sociali, assistenziali e previdenziali, secondo le reali esigenze delle persone. Infine occorre anche comprendere un punto focale: il nostro potenziale cliente non ha ancora avuto percezione dei vantaggi e pertanto sta considerando l'apparecchio acustico solo come “un problema in più”. Decisivo portare l'esempio di come la “sordità” sia molto più visibile e discriminante.
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